31 luglio 2008

Nel bene e nel male

La prima volta che sentii parlare Carlo Menozzi, pedagogista che da anni si occupa di assistenza rivolta ad infanzia, adolescenza, famiglie e disabili, fu al corso iniziale per volontari EmmauS. In quella occasione tenne una relazione dal titolo durissimo: “Papà, insegnami a morire, in cui parlava della tendenza, abbastanza diffusa, dei genitori ad educare i figli come se la vita fosse sempre facile e senza ostacoli, e a rimuovere la morte e la sofferenza, ritenendo sempre prematuro un simile discorso. Mi torna spesso in mente una sua considerazione sul fatto che si dovrebbe insegnare ai figli che il vero patto nuziale lo si deve fare con la vita: la promessa, fin da giovani, di abbracciare con gioia la vita sempre, nel bene e nel male. Anche Montaigne, che ricevette dal padre un’educazione secondo i principi dell'umanesimo del XVI secolo, e per questo venne inviato a balia in un povero villaggio perché si abituasse al modo di vivere più umile e comune, scrisse in uno dei suoi saggi: “Chi insegnerà agli uomini a morire, insegnerà loro a vivere”. In un altro saggio, osservando che le chiese erano sempre piene soltanto di persone anziane, parlò, con un certo umorismo, delle cosiddette virtù catarrose, quelle che uno si ritrova per forza verso la fine della vita, quando cerca Dio per ricevere aiuto: bisognerebbe cercare Dio anche prima, per lodarlo, e non soltanto per chiedergli aiuto. Nel famoso pendolo del tempo delle Ecclesiaste, originale libro del Vecchio Testamento, in cui si dice che c’è un tempo per ogni cosa, manca, dal lungo elenco, il tempo della gioia: perché la gioia non è un solo momento, ma abbraccia tutta l'esistenza, è la fedeltà alla vita che ci salva durante crisi e periodi di infelicità e ci dà la forza di vivere. Johann Sebastian Bach era tornato da un viaggio, durante la sua assenza erano morti la moglie e due figli. Egli scrisse sul diario: buon Dio, fa' che io non perda la mia gioia. Cristina

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