8 dicembre 2008

OSCAR e i regolamenti

(pag. 52) Dovete soddisfare i pazienti o attenervi al regolamento?
Non so se per indole, sicuramente per formazione professionale, sono portato ad apprezzare, e, quando coinvolto, a rispettare i “regolamenti”. Ritengo infatti che le manifestazioni di ciascun individuo siano il risultato di esperienze, culture, retaggi storici, sociali e familiari unici ed irripetibili. Nei rapporti interpersonali vengono pertanto a confronto sensibilità, stati emotivi, abitudini, chiavi interpretative, pregiudizi, spesso in contrasto con il corrispondente sentire di chi ci sta di fronte. Considerando infine che obiettivi e priorità, il più delle volte, confliggono, dovrebbe apparire evidente la necessità di regole alle quali uniformare i comportamenti, onde rimuovere quante più cause possibili di snervanti e improduttivi contenziosi. Nulla di tutto ciò necessiterebbe se, all’interesse dell’uno, corrispondesse sempre anche il bene dell’altro. Ipotesi questa alla base del miraggio utopico dell’anarchia, vista come unica legge di natura, o quello, parimenti utopico, dell’amore universale, laddove il bene dell’altro fa premio sul proprio. Ma così non è. Ecco allora che “attenersi al regolamento” non dovrebbe essere, nella fattispecie citata nel libro, in antitesi con la “soddisfazione del paziente”, e nemmeno con la “migliore esecuzione del servizio”, o con “il buon clima lavorativo del personale”, ma neppure con “l’efficienza del reparto”, né con la “massimizzazione dei profitti per l’azienda”, ecc … ecc … Emotivamente, alla domanda della dama in rosa, si è portati a confermare che c’è una sola risposta esatta, ma così non credo che sia. Non consideriamo le inefficienze legate alla qualità del servizio (termometri dimenticati tra le lenzuola, carenze igieniche, ritardata somministrazione delle terapie …), sino ai più gravi episodi di malasanità, che nulla hanno a che vedere con il rispetto dei regolamenti, ma basterebbe osservare le ammucchiate di parenti e di amici intorno e sul letto del malato, o l’andirivieni di persone lungo i corridoi impegnate in monologhi al cellulare, dribblando i carrelli delle medicine, o i vassoi dei pasti, per rendersi conto di come questi comportamenti, classificabili come esempi di violazione a semplici norme di buon senso, diventano spunto per diatribe e ripicche. Se poi il regolamento (chiamato, per definizione, a mediare tra differenti esigenze) contiene anche delle “castronerie”, queste vanno, semplicemente, rimosse. Gianpietro

1 commento:

Cristina ha detto...

Le regole dovrebbero essere un invito, una raccomandazione, che sollecita gli utenti ad una maggior responsabilità nel comportamento, se troppo coercitive ottengono l’effetto opposto. Tempo fa, ero andata in ospedale a far visita alla mia prima assistita e uscii mentre stavano distribuendo il pasto. Il regolamento prevedeva che, una volta dentro, uno dovesse aspettare che gli operatori finissero la distribuzione. Ricordo ancora le urla dell’operatrice sanitaria, addetta alla distribuzione, mentre uscivo: mi sentii come quelli che, durante la guerra, passavano il confine tra gli spari delle sentinelle sulla torre di guardia. All’inizio, in hospice, non c’erano regole per le visite, perché la filosofia era che l’ammalato dovesse sentirsi come a casa. Poi hanno dovuto imporre qualche regola, perché, la domenica, soprattutto, arrivano anche quindici parenti per uno stesso ammalato. Noi volontari finiamo per lasciarli passare ugualmente, perché pensiamo che arrivano talvolta da lontano e che all’ammalato possano fare comunque piacere. In modo più assennato, ho sentito, invece, una delle responsabili spiegare ai familiari che sarebbe stato meglio per loro e l’ammalato avvicendarsi nella visita, accompagnando quelli che dovevano aspettare in una bella stanza, con una libreria, un pianoforte e altre comodità, dove potevano trovarsi a loro agio nell’attesa di andare, a loro volta. Cristina