6 dicembre 2008

OSCAR e la medicina

(pag. 11) Sono diventato un cattivo malato, un malato che impedisce di credere che la medicina sia straordinaria.
(pag. 79) Non è colpa sua (dottore) se è costretto ad annunciare brutte notizie alle persone … non è lei a comandare alla natura. Lei è solo un riparatore.

Per guarire devi metterci anche del tuo. Senza uno sforzo da parte tua, senza un po’ di buona volontà, le medicine da sole non bastano.” Quante volte abbiamo sentito, e a nostra volta ripetuto, questa espressione! Il medico, con la sua scienza, non ha compiuto il miracolo della guarigione, ma la responsabilità finale è anche del malato che non ha saputo combattere con tutte le sue forze, che non ha messo l’impegno necessario per guarire. “Noi abbiamo fatto il possibile, ma lui non ha reagito alle sollecitazioni come ci saremmo aspettati” se vai alla ricerca del responsabile … Ma qualunque insuccesso, anche quelli maggiormente amplificati dai media, non devono farci dimenticare che la medicina è “veramente straordinaria”. Noi, popoli fortunati che la possediamo più di tanti altri, fatichiamo a rendercene conto. Basterebbe scorrere le tabelle sull’aspettativa di vita nelle varie epoche per accorgersi dell’impennata del grafico, assicurata dalle migliorate condizioni igieniche ed alimentari. Basterebbe leggere l’elenco delle malattie una volta incurabili ed oggi trasformate in innocui fastidi stagionali. Basterebbe pensare ai vaccini che hanno debellato virus e batteri fonti di micidiali epidemie solo pochi decenni fa. Ormai non si parla più solo della terza età (divenuto il più corposo serbatoio di consensi elettorali), ma di quarta età, spesso attraversata in condizioni di salute invidiabili.
Forse è proprio la consapevolezza dei successi conseguiti nel campo sanitario che rischia di portare più di un medico a vivere in un delirio di onnipotenza, trasformandolo da semplice “riparatore” in “controllore della natura”. Il dispiacere per un insuccesso può diventare allora causa di patologia se, da utile occasione di riflessione e di crescita, si trasforma in rancore per essere usciti sconfitti dall’impari lotta con la natura, vera madre del nostro corpo. A volte ho il sospetto che ad avere paura della morte, siano, più di chiunque altro, proprio coloro che le vivono accanto per scelta professionale. Un medico ospedaliero, se non ha ancora trasformato in noiosa routine la passeggiata mattutina lungo i corridoi dei degenti, non può non sapere che dentro ogni cartella clinica può celarsi una sentenza che tutto il suo sapere non riuscirà a modificare. Se così non è, c'è allora bisogno di un OSCAR che gli dica: “Non è colpa sua dottore, lei è solo un riparatore … e non tutto è riparabile … almeno per ora.” Gianpietro

1 commento:

Cristina ha detto...

Si dice che il progresso vada più veloce della cultura, cioè del nostro modo di capirlo, ed è normale che sia così, perché la cultura è lenta, deve rispettare i tempi di tutti. Penso che questo generi delle anomalie, anche pericolose a volte: una di queste è l’accanimento terapeutico, che è un errore, grave, da parte di un medico e l’unico modo per riparare questo errore è la cultura. Nella mia esperienza, non ci sono stati molti problemi, con i medici, nel valutare, insieme, che per il nonno, o altro parente, fosse ormai inutile un’operazione o un trapianto, ma, una volta, anche noi abbiamo dovuto insistere che per un’anziana parente, per la quale si attendeva la morte in pochi giorni, si sospendessero le trasfusioni e altre cure, ormai completamente inutili, che però prolungavano dolorosamente l’agonia. Dobbiamo un po’ recuperare il significato della morte come evento naturale e, se è possibile, lasciare che i nostri familiari tornino a casa per morire in famiglia. Le maggiori risorse culturali di oggi dovrebbero aiutarci ad affrontare meglio la morte, invece ne siamo molto più spaventati di un tempo. Cristina