9 gennaio 2009

OSCAR e la vita

(pag. 85) La vita è uno strano regalo. All’inizio lo si sopravvaluta, si crede di aver ricevuto la vita eterna. Dopo lo si sottovaluta, lo si trova scadente, troppo corto, si sarebbe quasi pronti a gettarlo. Infine ci si rende conto che non era un regalo, ma solo un prestito. Allora si cerca di meritarlo.

Non occorrono molti commenti. OSCAR esprime un proprio punto di vista. Lo si può condividere o meno, ma resta pur sempre un’occasione di riflessione. Suddividere la vita in tre età è un classico nell’arte come nella mitologia, fino al mortale quesito posto dalla Sfinge ad Edipo. Personalmente, diversamente dall’impostazione di OSCAR, avrei invertito i riferimenti tra i primi due periodi. La scarsa considerazione che sembra abbiano i giovani della vita, spesso affrontata in modo esagerato e con incosciente noncuranza verso il rischio (anche quando coinvolge gli altri), mi porta a credere che essi le attribuiscano un valore scadente, disponibili anche a gettarla senza la prospettiva di un’adeguata contropartita. Ricordo che anch’io, da giovane, non mi ponevo il problema della sua durata ed anzi ero spaventato dall’idea di dovere invecchiare. È quando si cominciano a compiere scelte importanti (lavoro, affetti, famiglia, impegno sociale) che le aspettative vengono proiettate verso un futuro sempre più lontano. È nel periodo dell’accumulo (mi riferisco ai beni materiali), giustificato (mistificato), il più delle volte, con il desiderio di garantire un futuro (sicuro?) ai figli, che nell’adulto si insinua il dubbio di non riuscire ad avere il tempo bastevole per portare a termine quello che reputa essere il proprio compito. È in questa fase che si vive come se fosse per sempre. Secondo OSCAR la terza età è quella della ricerca. La vita viene ridimensionata, passando da regalo a semplice prestito “che va meritato”. Forse avrebbe dovuto scrivere “che va restituito”, a differenza di quanto si fa con i regali. Sia il regalo che il prestito andrebbero tuttavia meritati. Il primo, per sua caratteristica intrinseca, più ancora del secondo. Convengo sull’idea della ricerca come compito per la terza età, quella della saggezza. Peccato che il più delle volte la si attraversa restando bloccati dai lacci annodati nelle età precedenti e che ti soffocano come un rampicante a lungo trascurato. Succede poi che se anche hai avuto l’accortezza di mantenere aperto un varco verso la vita, dallo stesso sono fuggite anche le potenzialità, fisiche e psichiche, che possedevi. La ricerca, inoltre, richiede tempo e questa è una dote sulla quale, da vecchio, non puoi fare affidamento. Mi restano ancora forti dubbi circa l’immagine della vita come “prestito”. La ragione mi dice che l’umanità è solo uno dei tanti prodotti della natura (neanche dei meglio riusciti) e che gli elementi chimici, che, unendosi, ci compongono, ritorneranno alla natura una volta completato il loro breve ciclo di vita, consumati come le pagine di un libro restituito alla biblioteca. Il cuore mi spinge invece a credere che disponiamo di un’anima, che è la vera proprietaria del nostro corpo e che si serve della natura per crearlo e ricrearlo in un percorso lungo tanti cicli di vita quanti le occorreranno per raggiungere il suo obiettivo. È solo sviluppando questa seconda visione che si può parlare di “ricerca del merito”. Per ora altro non so. Gianpietro

1 commento:

Cristina ha detto...

Penso che ognuno di noi, riferendosi al proprio cammino di vita, sia tentato, prima o poi, a dare una definizione. Per me, quello che ci è andato più vicino è Cesare Pavese, che la definì un 'mestiere', pensando alla fatica che, più o meno, facciamo tutti nella vita. Io la vita l'ho accolta controvoglia, con pigrizia e inappetenza, poi mi ci sono appassionata e credo che, alla fine, mi dispiacerà anche un po' lasciarla. Anche Oriana Fallaci, quando si ammalò di cancro ed era ancora abbastanza giovane, fece scalpore, dicendo di non voler curarsi, poi invece andò negli Stati Uniti, per ricevere cure più adeguate e nella sua ultima intervista disse che la vita è bella anche quando è brutta. Si dice che bisogna diffidare degli ottimisti, che sono i pessimisti quelli che ci insegnano la speranza. Io trovo che sia vero e che questo parere sia condiviso anche da persone di grande fede, perché Pavese viene spesso citato da loro, ma non in senso negativo, come sarebbe lecito supporre per la sua drammatica fine, ma per il suo acuto e preciso pensiero. Proprio ieri ho letto una nota di un sacerdote, grande pensatore e insegnante, che diceva che per lui la preghiera più bella è quella di Pavese in "Il mestiere di vivere" e che dice: "O Tu, abbi pietà", seguiva anche tutta una spiegazione sul significato profondo di queste quattro parole che non ricordo, ma questa preghiera è piaciuta anche a me. Cristina