26 marzo 2009

Un bisogno insopprimibile di debolezza

Negli ultimi tempi ho riletto l’opera e la vita di Natalia Ginzburg, una delle mie scrittrici preferite. Ho trovato molto interessante e attuale quello che dice della sua esperienza politica. Nel 1983 venne eletta in Parlamento, dove rimase per due legislature, ma come era prevedibile, per chi la conosceva bene, fu una delusione. Nella biografia di Maja Pflug, si dice che quello che lei auspicava era “un governo aereo, leggero, inconsistente e invisibile, un governo debole”. Ma in realtà nella vita pubblica “c’è rumore, sopraffazioni … menzogne di ogni specie” e, per la debolezza, per “un governo senza armi, fondato unicamente su alcuni beni che sono cari allo spirito, come la giustizia, la verità, la libertà” non c’è posto nella politica rumorosa e sanguinaria … “e noi abbiamo invece un bisogno insopprimibile di debolezza. Ho avuto il privilegio di conoscere, per aver frequentato le sue conferenze, una persona che ha fatto invece della sua debolezza un punto di forza, essendo impegnato nella cooperazione internazionale, ma con gravi problemi di deambulazione fin dalla nascita. In una missione in Israele, fu costretto a seguire gli altri su una sedia a rotelle, perché camminando con il bastone avrebbe rallentato la visita e fatto aspettare i suoi accompagnatori: ebbene, disse che ebbe forte la percezione che proprio da questa posizione di svantaggio, le sue parole venissero ascoltate con più attenzione. Anche la nostra attività di volontariato racchiude in sé l’atteggiamento politico, perché non può che rapportarsi e dialogare con le istituzioni, e la missione dell’incontro con la debolezza dell’altro. Per questo, dovremmo sempre tenere in mente anche le parole di Padre Christian Chessel, della chiesa di Algeria, che diceva che “accettare la nostra impotenza e la nostra povertà radicale è un invito, un forte appello a creare con gli altri dei rapporti di non-potenza; riconoscendo la mia debolezza, riesco ad accettare quella degli altri e a considerarla come un appello a 'portarla', a farla mia. Un tale atteggiamento ci trasforma e ci invita a rinunciare ad ogni pretesa nell’incontro con l’altro e ad andare a lui senza paura delle sue debolezze fisiche, morali o spirituali. Il mio sguardo sull’altro cambia e non cerco di imporgli niente. Quest’atteggiamento c’invita a non temere l’incontro con l’altro o con un avvenimento, anche 'forte', ma ad andare a lui nella forza della debolezza.” Cristina

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