2 febbraio 2012

La ricompensa

“Rare volte agiamo nella vita senza attenderci ricompense, siano esse materiali, economiche, affettive, di stima, spirituali, ecc. Il desiderio di una più o meno gratificante ricompensa si nasconde dietro a ogni nostra azione, impegno e, in genere, a ogni nostro comportamento. Nel cammino psicologico, da una lettura, da una conferenza, da un intervento effettuato sulla nostra psiche, ci attendiamo una ricompensa sia pur quella di migliorare un poco certi nostri aspetti psicologici ritenuti fragili. Nasce quindi la domanda: procederemmo nel cammino evolutivo se non esistesse l’ipotesi di ricompense ai nostri sforzi?” Comincia così l’articolo di uno psicologo, che ho già avuto occasione di citare sulle pagine di questo blog, che si chiama Piermaria Bonacina. Trasferendo la domanda, che l’autore di questo articolo si pone, al volontariato, di cui ci occupiamo, possiamo quindi chiederci, anche noi, se procederemmo in questo cammino della solidarietà se non esistesse davvero nessuna ricompensa al nostro impegno. Occorre subito dire, con grande chiarezza, che il discorso che al servizio non venga associata nessuna forma di ricompensa è certamente superato dal fatto che ogni organizzazione ha bisogno di risorse economiche per potere andare avanti e pagare almeno l’affitto di un locale, le bollette telefoniche, la pubblicità, solo per citare alcuni costi. Noi volontari, dunque, lavoriamo all’interno di organizzazioni o enti che gestiscono somme di denaro e se svolgiamo bene il nostro lavoro di volontariato, questo fatto, con molte probabilità, comporterà risorse maggiori in termini di offerte, elargizioni di fondi o contributi di sostegno da parte dei cittadini, del comune o dello stato. Io penso che sia importante fare chiarezza su questo, per poter delimitare bene l’ambito entro il quale ha senso parlare di gratuità del servizio e questo ambito, nella maggior parte dei casi, è soltanto quello personale. Anche qui, però, dobbiamo essere chiari fino in fondo e ammettere che a livello di personalità siamo fatti di tanti elementi, a volte persino in contrasto tra loro, che possono arrivare a esprimersi in vere e profonde contraddizioni. Nella mia esperienza personale di volontariato, ho scelto di non partecipare alla vita delle organizzazioni per le quali mi impegnavo, proprio per evitare di rendere vano lo sforzo che, se ben indirizzato, può portare a una espansione della coscienza, ma occorre stare lontani da ogni tentazione di ricevere una ricompensa, fosse anche in termini di un apprezzamento o del compiacimento di se stessi, perché la nostra energia psichica si sviluppa infinitamente meglio e procede con gioia nel lavoro impersonale per il bene comune, quando non c’è attaccamento alcuno a questo desiderio. Cristina

2 commenti:

Gianpietro ha detto...

Mi trovo in forte disaccordo con le considerazioni di Cristina.
Il tema è tuttavia troppo importante sia per EmmauS che per me, dato che mi viene chiesto di trattarlo nei corsi di formazione per nuovi volontari, per esaurirlo con un commento a caldo.
Mi prendo qualche giorno per rifletterci e proporre un post che sintetizzi il mio pensiero al riguardo. Gianpietro

Maria Maddalena ha detto...

Anche io presto da molti anni servizio nella nostra comunità, e sono d'accordo con Cristina nel dire che la nostra opera non deve essere finalizzata all'ottenimento di ricompense "esterne". In tutti questi anni abbiamo visto avvicendarsi nel nostro gruppo molte persone che col tempo hanno abbandonato il servizio, proprio perchè infastidite dal fatto di non ricevere gratificazioni dall'esterno (complimenti, ringraziamenti ecc.). Chi è rimasto? Sono rimasti coloro che il volontariato non lo fanno "per gli altri" ma "per se stessi", perchè consapevoli che aprirsi al prossimo arricchisce prima di tutto chi dona.
A differenza di Cristina quindi io penso che questo "compiacimento di se stessi" sia necessario e innato nell'uomo.