4 febbraio 2012

Vittime e aggressori


Nella vita di tutti i giorni, assumiamo spesso, come meccanismo di difesa, il ruolo di vittima o di aggressore e questi due ruoli sono perfettamente intercambiabili tra loro, per cui basta un attimo per trovarsi nell’uno o nell’altro, a volte, quasi senza accorgercene. Sabato scorso, sono stata presa di mira dalla proprietaria di un negozio di abbigliamento, che voleva vendermi, a tutti i costi, tre vestiti, di cui non avevo assolutamente bisogno, solo per essere entrata a dare un’occhiata, per vedere se c’era qualche occasione. Le ha provate tutte per convincermi, usando tutti gli argomenti, a suo avviso, più persuasivi: la lusinga, il vanto per il prodotto che vendeva, lo sconto, la convenienza di una eventuale dilazione di pagamento, e simili. Secondo la definizione comune, la vittima è un individuo che dà sempre ragione all’altro, senza essere necessariamente d’accordo: e in quel momento, mi sono sentita davvero una vittima, perché la petulanza della commerciante non lasciava spazio a nessuna replica. Il termine aggressore deriva invece dal latino aggredior che originariamente significava “andare verso”, ma con il tempo ha assunto un significato più ostile cioè “sopraffare con intenzione malevola”. Uscita dal negozio, da una settimana racconto a tutti quello che mi è successo, suscitando la comprensione nei miei riguardi e i commenti malevoli e la disapprovazione di tutti nei confronti di quella signora, mancando anche di comprensione nei riguardi del lavoro difficile di un commerciante, che ha investito in un magazzino che, in tempo di crisi, resta fermo, con grave danno economico per la gestione della sua attività. Ed ecco così che sono diventata, a mia volta, aggressore. La recente manovra di governo ha fatto slittare, in un colpo, di quattro anni l’età nella quale potrò finalmente ritirarmi dal lavoro e ho provato un grande senso di oppressione e di ingiustizia nei confronti di uno stato che si permette di decidere così della mia vita, cambiandone improvvisamente il corso, senza potere fare nulla, e mi ha letteralmente scandalizzato il discorso del ministro che ha detto che fino adesso i pensionati hanno goduto di un grande privilegio, per il fatto di essere andati in pensione con il sistema retributivo, e che quella di adesso è una politica che vuole ristabilire finalmente l’equità. Poi, ho visto il ministro piangere in televisione, ed è una donna che ha l’età nella quale io dovrei andare in pensione e lavora ancora e forse, chissà, in quel momento anche lei si sarà sentita vittima di un sistema che le imponeva di fare quello per cui lei forse non era nemmeno tanto d’accordo, far pagare cioè la crisi ai più poveri, lasciando fuori i banchieri e chi possiede grandi patrimoni. Come uscire, allora, da questo circolo vizioso che ci fa essere tutti ora vittime e ora aggressori, nella vita di tutti i giorni? Penso che intanto sia importante la consapevolezza di questa intercambiabilità e di non pensarci, per esempio, eterne vittime tutta la vita. L’anziano, che pretende di essere assistito sempre e sacrifica la vita dei figli, anche quando non sarebbe necessario, è in quel momento un aggressore e non bisogna fare della facile retorica su questo, anche quando l’anziano è certamente, a sua volta, vittima di una società e di un sistema, che gli offrono poco aiuto. Il secondo passo per uscire dal ruolo di vittima è quello di rinunciare alla autocommiserazione e incominciare a vedere tutto quello che c’è di buono dentro di noi e che di buono facciamo o abbiamo fatto, e anche del bene che riceviamo o abbiamo ricevuto dagli altri. Ma anche l’aggressore, alla fine, aggredisce perché non ha molta fiducia in se stesso, e non sa spiegare bene e pacatamente le sue motivazioni e quello che ha dentro, e se lo facesse, molto probabilmente, potrebbe trovare più facilmente un accordo con l’altro o sentire le sue emozioni, e a quel punto capirebbe che anche il suo ruolo è legato alla sofferenza, non solo dell’altro, ma anche sua. Cristina

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